SII – Procedimento Diagnostico

La diagnosi di una condizione cronica è utile al medico per programmare indagini ulteriori alla ricerca di alterazioni funzionali o strutturali o di eventuali complicanze nonché per dare indicazioni di terapie. Per il paziente affetto da una condizione cronica la diagnosi è utile perché, avendo una spiegazione dei propri disturbi, permette di instaurare un rapporto valido con il proprio medico e di affrontare meglio lo stato di sofferenza cronica.

La diagnosi di una condizione funzionale, cioè priva di alterazioni evidenziabili, si può raggiungere o con un processo di esclusione o basandosi direttamente sui sintomi.

Nei pazienti con presentazione clinica di SII nessuno dei test motori o di sensibilità viscerali sono discriminanti per la diagnosi, né sono standardizzati al fine di indirizzare il trattamento, d’altra parte la diagnosi di esclusione, molto impegnativa per la aspecificità dei sintomi, si rivela utile soltanto in poche persone.

In particolare va notato  che la colonscopia non cambia sostanzialmente la diagnosi. La colonscopia va tuttavia eseguita sempre in pazienti sintomatici e di età superiore ai 50 anni come mezzo di prevenzione e diagnosi precoce delle neoplasie colo-rettali.

La diagnosi di esclusione, perseguita in modo indiscriminato, presenta lo svantaggio di comportare numerosi esami diagnostici con un elevato costo per il sistema sanitario, per il paziente e un aumentato rischio di danno iatrogeno. Inoltre la richiesta continua di esami che non danno una risposta ai disturbi e lasciano il paziente nell’insicurezza sul suo stato di salute, rinforza l’atteggiamento di malattia e peggiora la sindrome. Nei soggetti giovani un’adeguata anamnesi e un attento esame obiettivo comprensivo di esplorazione rettale, possono essere sufficienti a identificare in modo attendibile una SII già al primo approccio.

Come tutti i criteri diagnostici, anche quelli di Roma IV (Tabella 1) non sono infallibili. La diagnosi di SII richiede buon senso clinico, attenta valutazione,  un numero limitato di test diagnostici e un controllo nel tempo. Non è sufficiente soddisfare i criteri di Roma IV (Tabella 1) per porre diagnosi di SII  in quanto anche altre malattie organiche si possono presentare con i medesimi criteri.

In un’ampia casistica di pazienti ambulatoriali che soddisfavano i criteri di Roma III per la diagnosi di SII, il 24% aveva una malattia organica. La prevalenza era maggiore, 32%, nella SII-D che nella SII-C, 13% o nella SII-M, 24%.

Se nella diagnosi si include  l’assenza di sintomi d’allarme e di fattori di rischio (Tabella 2) si riducono notevolmente le diagnosi di malattie organiche,  ma, essendo tali condizioni molto frequenti, oltre il 60% dei casi verranno sottoposti ad indagini con esito normale. Oltre ai sintomi considerati nei criteri di Roma,  i pazienti con SII riferiscono spesso altri sintomi gastrointestinali e extragastrointestinali che rafforzano la diagnosi di SII (Tabella 3).

Un andamento alvino variabile  (> 3 differenti forme di feci/settimana) rafforza la diagnosi di SII nei pazienti con sottotipo diarroico. Una sequenza di giorni senza alvo è associata con il sottotipo di SII-C.
Un’alterata frequenza dell’alvo (< 3 o > 3 evacuazioni /settimana), un’alterata forma delle feci (tipo 1-2 o 6-7 della scala di Bristol) (Tabella 4), lo sforzo eccessivo durante la defecazione, l’urgenza defecatoria, il senso di evacuazione incompleta e la presenza di muco nelle feci sono tutte condizioni frequenti ma non specifiche di SII. I pazienti con SII riferiscono frequentemente che i sintomi sono indotti o esacerbati dai pasti e circa il 50% di chi soffre di SII-D riferisce diarrea postprandiale.

 

Quindi in pazienti con età inferiore ai 50 anni, con una storia di sintomatologia che pur nelle fluttuazioni periodiche non ha subito brusche o allarmanti variazioni, senza fattori di rischio, è sufficiente limitarsi a pochi esami di screening (Riquadro A).

Se questi sono normali il medico può formulare positivamente la diagnosi di SII e prescrivere una terapia adeguata senza procedere ad altre indagini.

Studi prospettici hanno dimostrato che quest’atteggiamento raramente ha portato ad un’interpretazione errata.

Una diagnosi positiva ha il vantaggio di favorire un efficace rapporto medico paziente, nel quale il medico può con sicurezza offrire al paziente una spiegazione dei suoi sintomi illustrandone il complesso meccanismo patogenetico e la cronicità, così da individuare insieme gli obiettivi principali e responsabilizzare il paziente stesso nella strategia terapeutica. Si ottiene così una maggiore compliance del paziente verso la terapia e una migliore capacità a confrontarsi con i sintomi e le limitazioni che ne derivano.

Un’attenta diagnosi differenziale va invece intrapresa in quei soggetti che presentino dei segni d’allarme nell’anamnesi o all’esame obiettivo, che abbiano alterazioni agli esami di laboratorio del primo livello, che non rispondano in modo soddisfacente alla terapia. Anche in questi soggetti l’obiettivo rimane quello di limitare le indagini e per questo il procedimento diagnostico deve essere strettamente guidato dal sintomo principale e condotto a tappe con esami diagnostici progressivamente più impegnativi utilizzando la terapia come mezzo di verifica diagnostica.

L’utilizzo della scala di Bristol per la forma delle feci   è un modo pratico, di aiuto anche per il paziente, per identificare il sottotipo di SII.
La forma delle feci, infatti, correla con il contenuto di acqua che è direttamente proporzionale alla velocità di transito intestinale.

Convenzionalmente la forma delle feci Tipo 1 e 2 (dure, caprine, grumose) ovvero Tipo 6 e 7 (molli o liquide), in oltre il 25%, ‘un quarto’, delle volte identifica rispettivamente, il sottotipo SII con stipsi   e la SII con diarrea  ; qualora il Tipo 1 e 2 si alterni con il tipo 6 e 7 si identifica la SII mista.

In precedenza quest’ultima modalità veniva definita SII tipo alterno, una definizione attualmente usata per identificare un alvo con forma delle feci che rimane costante
per un lungo periodo e solo a distanza di tempo si modifica da tipo 1 e 2 a tipo 6 e 7 o viceversa.

Nei pazienti con sintomatologia diarrea-prevalente o con alvo alterno, va valutata la tolleranza al latte, ricercati gli anticorpi anti-endomisio, per escludere malattia celiaca e parassiti intestinali.

La presenza di sangue nelle feci, sebbene frequentemente di origine emorroidaria e quindi innocua, richiede una colonscopia con biopsie per la diagnosi differenziale con malattie infiammatorie intestinali (colite ulcerosa, morbo di Crohn) o altre forme più rare di colite. Su indicazione di alterazioni riscontrate nella precedente tappa o in caso di mancata risposta alla terapia e seri sospetti di presenza di malattia organica, i pazienti possono essere sottoposti a ulteriori indagini rappresentate dall’esame morfologico, ecografico o di risonanza del tenue, biopsie del duodeno, valutazione psichiatrica.

Quando il sintomo predominante è la stitichezza, un esame morfologico (colonscopia) è necessario per valutare la presenza di stenosi (neoplastiche o fibrose) o altri ostacoli. In assenza di ostruzioni e di alterazioni metaboliche, perdurando il disturbo, il paziente può essere sottoposto a studi funzionali per identificare il meccanismo patofisiologico che sostiene il disturbo. Lo studio del tempo di transito totale e segmentario del colon, il test di espulsione del palloncino, la manometria retto-anale e la defecografia sono utili a riconoscere i pazienti con transito rallentato e la sede del rallentamento, e i pazienti con dissinergia addomino-pelvica o con altre alterazioni del pavimento pelvico.