SII – Definizione e Aspetti Clinici

Definizione, sintomi, …

La sindrome dell’intestino irritabile (SII) è caratterizzata da dolore addominale associato alla defecazione e/o ad una variazione dell’alvo in assenza di alterazioni strutturali e biochimiche

La sindrome dell’intestino irritabile (SII) è un disturbo funzionale intestinale cronico, caratterizzato da dolore o fastidio addominale, che insorge in associazione ad una variazione dell’alvo o recede in seguito ad evacuazione (2).

Sebbene i sintomi siano aspecifici, vanno ricercati quei criteri diagnostici essenziali che ne permettono la definizione.

I pazienti lamentano episodi di dolore addominale, generalmente non localizzato ma diffuso, che insorge in relazione temporale con una o più evacuazioni di feci poltacee o acquose. In altri il dolore si associa invece a una riduzione della frequenza delle evacuazioni, oppure a un’alternanza tra stipsi e diarrea oppure tra alvo regolare e alterato. Il dolore regredisce con l’evacuazione o la flatulenza. La sintomatologia ha un andamento cronico, almeno 12 settimane, anche non consecutive, nell’anno precedente, ma spesso perdura da anni, anche se con fluttuazioni per intensità e a volte variazioni di presentazione. Il 50% dei pazienti riferisce che gli episodi sono scatenati o esacerbati da periodi di stress (difficoltà nel lavoro, problemi economici o familiari ecc…).

Al disturbo principale spesso si sommano altri disturbi: gonfiore addominale, presenza di muco nelle feci, alterata frequenza dell’alvo, evacuazione di feci dure/caprine oppure non formate, difficoltà di evacuazione, sensazione di evacuazione incompleta. Questi sintomi rafforzano la diagnosi di SII tuttavia non sono considerati essenziali.

Tre Sottogruppi

Il diverso modo del dolore addominale di associarsi alle alterazioni dell’alvo caratterizza tre sottogruppi omogenei di pazienti: stipsi-predominante, diarrrea-predominante, ad alvo alterno.

Questa suddivisione in gruppi clinicamente omogenei pur suggerendo meccanismi patogenetici differenti non ne fornisce informazioni; essa è utile nella scelta dell’algoritmo diagnostico, in caso di diagnosi differenziale, e nell’approccio terapeutico.

La definizione clinica di SII secondo i criteri Roma raccoglie l’esperienza iniziata negli anni 70 di identificare mediante l’analisi dei sintomi (3,4) un gruppo omogeneo di pazienti definibili come affetti da SII. Si giunse così ad una prima definizione standardizzata (Roma I) (5) e dopo decenni di studi di conferma alla revisione e presente definizione. Da essa rimangono esclusi quei pazienti che presentano un sintomo unico quale la stitichezza cronica, la diarrea cronica senza dolore, il gonfiore addominale. Anche questi sono di origine funzionale, ma hanno una presentazione clinica autonoma e in ogni caso vanno presi in considerazione nella diagnosi differenziale e possono rappresentare dei modelli di riferimento nell’approccio terapeutico.

Disturbi associati e qualità di vita

Frequentemente la SII si associa ad altri disturbi funzionali gastrointestinali (dispepsia) (6) o a disturbi extra-intestinali, quali cefalea, fibromialgia (7,8), sintomi genito-urinari (9,10), anche questi senza una dimostrata alterazione morfologica e/o bio-umorale. Non è raro che un paziente con SII presenti un altro disturbo funzionale intestinale, con diversa predominanza in periodi differenti.

La cronicità dei disturbi induce il paziente a successive richieste di visite e di indagini diagnostiche, spesso non motivate. In un considerevole numero di questi pazienti la sintomatologia dolorosa, viene erroneamente imputata ad altre patologie addominali e per questo sottoposti a colecistectomia, appendicectomia, isterectomia (11), viscerolisi, senza risoluzione dei disturbi ai quali anzi possono aggiungersi le sequele, se non le complicanze, degli interventi stessi.

La frequenza e l’intensità dei sintomi può essere tale da influenzare negativamente il sonno, la dieta, l’attività sessuale, con limitazioni della vita sociale e assenze dal lavoro, con conseguenze sulla carriera e sulla stabilità del lavoro stesso. Il risultato è uno scadimento della qualità di vita e questi soggetti valutano la gravità della loro situazione non tanto dall’intensità dei sintomi, ma proprio da come questi determinino le loro attività e relazioni (12).