SII – Terapia

 

Dialogo Medico-Paziente

Come primo atto della terapia è opportuno che il Medico dialoghi con il Paziente, parli della diagnosi di SII, illustri l’andamento dei disturbi, le possibili cause,  rassicurando che la malattia non ha rischi sullo stato dell’organismo ma può causare sofferenza e ridurre la qualità di vita.
È fondamentale un buon rapporto medico-paziente che consenta al paziente di riferire le sue sensazioni, i suoi timori e di chiedere spiegazioni sui suoi dubbi  e al medico di dare ascolto con empatia per la sofferenza, di spiegare i meccanismi dei disturbi, agli occhi del paziente senza apparente causa, e di rassicurare sulla benignità dei disturbi, nonostante la loro cronicità, e di fissare gli obiettivi terapeutici. Il medico capace di cogliere tutti gli aspetti di questa sindrome è in  grado di ottenere dei notevoli miglioramenti clinici ,potendo indicare come affrontare, il decorso cronico ed imprevedibile della malattia. In particolare potrò ridurre, tranquilizzando il paziente, lo stato di sofferenza, agendo sulla componente affettivo-motivazionale attivato dall’allarme che suscita il disturbo e su quella cognitivo-comportamentale determinata dallo stato psicologico individuale.

Impostazione del trattamento: la dieta come base di ogni terapia

In ogni caso è indicato regolare le abitudini di vita, svolgere attività fisica e valutare con attenzione gli effetti della dieta sui disturbi infatti la gran parte dei pazienti con IBS riferisce che i sintomi addominali ed intestinali si presentano spesso, e talora soltanto, dopo avere mangiato. Numerosi costituenti dietetici  hanno dimostrato di elicitare la sintomatologia dell’IBS ed in particolare in quei numerosi pazienti che presentano la comorbidità con la malattia da reflusso gastroesofageo e la dispepsia funzionale.

Pochi pazienti con IBS tollerano i cibi fritti e quelli speziati. Sintomi di IBS si presentano dopo assunzione di lipidi che stimolano l’attività motoria intestinale,  e di carboidrati che  , se non assorbiti, o essendo assorbiti  molto lentamente , rimangono nel lume intestinale dove vengono sottoposti a fermentazione da parte del microbiota, con produzione di gas e richiamo di acqua che, distendendo le anse e stimolando il sistema nervoso enterico ipersensibile dei pazienti con IBS, causano i disturbi addominali. 

I carboidrati maggiormente fermentabili sono  oligosaccaridi, disaccaridi monosaccaridi, disaccaridi e polioli  ( FODMAP, dall’inglese Fermentable Olygosaccharides, Dysaccharides, Monosaccharydes and Polyols).

E’ stato dimostrato che i FODMAP  possono indurre  o aggravare i sintomi di IBS  e che  una loro restrizione dietetica  può  migliorare
la sintomatologia in un numero elevato di pazienti con IBS.

Pertanto aspetti dietetici e nutrizionali dovrebbero essere sempre valutati e , se necessario, riequilibrati come punto di partenza di ogni piano terapeutico per i pazienti con IBS.

Norme dietetiche generali. Per tutti e’ importante seguire giornalmente  le seguenti norme  generali  :

  1. assumere senza fretta, masticando bene e seduti, tre pasti,  non abbondanti, non distanziati tra loro da eccessivi intervalli di digiuno , evitando di non coricarsi subito dopo cena;
  2. bere 1500-2500 ml di acqua al giorno
  3. non bere più di  tre tazzine di caffè o tazze di tè;
  4. evitare alcol e bevande gassate

Prescrizioni dietetiche di primo livello

Sulla base di  una attenta anamnesi medica e dietologica può essere utile indicare  un iniziale passo dietetico che consiste in

a) riequilibrare, di solito diminuendo, in funzione del sottotipo di IBS e  delle abitudini dietetiche  del paziente, l’assunzione di fibre  giornaliere preferendo quelle  solubili a quelle non solubili ;

b) limitare l’assunzione degli amidi resistenti alla digestione solitamente presenti nel cibo trattato o cotto due volte;

c) non assumere  più di tre frutti al giorno,  i cibi grassi, i fritti;

d) evitare  sorbitolo e dolcificanti in chi ha la variante diarroica   Particolare attenzione e restrizioni per i cibi contenenti lattosio saranno date a chi ha il deficit dell’enzima lattasi.

Prescrizioni dietetiche di secondo livello

Se le norme dietetiche di primo livello non danno sufficiente beneficio   è consigliabile prescrivere sotto controllo di un sanitario esperto nella gestione dietetica una dieta  a basso contenuto di FODMAP.
La dieta Low-FODMAP non va considerata una dieta di esclusione ma di sostituzione dei cibi ad alto, con quelli a basso, contenuto di  FODMAP.

Particolare attenzione va posta nel mantenere i valori nutrizionali , il contenuto in fibre e calcio . Solitamente la dieta Low-FODMAP prevede tre fasi , la prima con  forte riduzione  dei FODMAP della durata di 3-6 settimane.

In questa fase il miglioramento sintomatologico è tanto più rapido e pronunciato quanto maggiore è la riduzione dei FODMAP rispetto alla dieta abituale.

Una seconda fase, di durata variabile,  nella quale  vengono reintrodotti progressivamente nella dieta singoli alimenti  contenenti FODMAP, una o più volte alla settimana, per testare la soglia di tolleranza del paziente.

In questa fase , sempre con  la guida di un esperto, si potranno verificare  i tipi, e le quantità settimanali, di cibo  tollerati senza che il paziente avverta disturbi   e servirà come riferimento per impostare  la terza fase della dieta che il paziente potrà gestire successivamente in maniera  autonoma.

Per ottimizzare  la risposta sintomatologica  e la compliance del paziente, prima di iniziare  una dieta Low-FODMAP è consigliabile valutare la dieta abituale , possibilmente facendo riportare al paziente per un periodo di una-due settimane  un diario alimentare,  sulla base del quale  personalizzare le prescrizioni dietetiche in modo da alterare il meno possibile le abitudini consolidate  e le preferenze del paziente. La migliore risposta  a questo tipo di dieta è nei pazienti che riferiscono una stretta relazione temporale tra assunzione di cibo e i sintomi,  un preminente  disturbo di gonfiore addominale e l’alvo  diarroico.

In mancanza di una causa riconosciuta non è possibile un trattamento eziologico, inoltre la natura multifattoriale e la eterogeneità dei sintomi non permette di avere un atteggiamento univoco nell’approccio terapeutico di questi pazienti.

La suddivisione in sottogruppi nei quali uno dei sintomi è riconosciuto come prevalente è utile nel guidare la terapia.